Nel 1978 fu fatta la legge sull’aborto.
Finalmente la donna poteva essere assistita in un ospedale nel mettere fine ad una gravidanza indesiderata, senza rischiare la vita con metodi poco ortodossi.
Fino qui direi tutto bene. Le femministe hanno lottato per i diritti delle donne e finalmente gli uomini hanno capitolato, lasciandoci l’illusione di essere come loro con gli stessi diritti e le stesse opportunità.
Credo però che questa illusione stia scemando, alcune donne sono consapevoli che non sono come gli uomini, perché a parità di grado lavorativo e di competenza in merito, la donna per emergere deve lavorare di più e comunque viene pagata meno.
La grande illusione moderna è stata lasciarci votare, studiare e abortire.
Certo, i governi italiani che si sono susseguiti in questi ultimi 30 anni, non hanno mai promosso la famiglia e la vita, ma hanno promosso la donna che lavora a basso costo e la morte prematura dei suoi figli.
Mi sembra che ci sia stata venduta questa storia come progresso e libertà.
“L’utero è mio e lo gestisco io”. Sono in grado di fare tutto quello che fa un uomo.
Certo con due braccia e due gambe siamo capaci di fare tutto ciò che fa un uomo, ma per perseguire questo sciocco obiettivo, abbiamo dimenticato di saper fare la cosa più importante per l’umanità Creare la vita. Uomo e donna non sono uguali ma complementari.
Noi siamo portatrici di vita. Lo abbiamo dimenticato, rincorrendo stereotipi maschili che non ci appartengono.
Stiamo rinunciando alla vita, caldeggiate da leggi che non promuovo quest’ultima ma che promuovono tutt’altro.
Le donne devono poter scegliere se diventare scienziate, poliziotte, governanti, ma devono essere in grado anche di poter avere un figlio, senza la paura di perdere queste altre opportunità.
“Sei giovane, non vorrai mica rovinarti la vita con un figlio”
“Sei nel pieno della tua carriera, un figlio ti farà retrocedere, non vorrai mica metterlo al mondo”
“Sei sola, lui ti ha abbandonata, sei pazza a voler mettere al mondo suo figlio”
“Ma chi vi mantiene te e tuo figlio, e meglio che te ne liberi”
“Se non sai neanche chi è suo padre, non vorrai mica tenerlo”
Potrei continuare all’infinito, con frasi di questo genere per incitare una persona ad abortire.
La paura del fallimento, induce la donna a diventare inconsapevolmente madre di un bambino morto.
Non capitemi male, non giudico chi ha dovuto fare una scelta così difficile, che si porterà dentro per tutta la vita, giudico i governanti che non tutelano la vita che queste donne si portano in grembo.
In Italia non ci sono sostegni concreti per le famiglie, o le mamme sole, quindi spaventa mettere al mondo figli.
Adesso pur di spendere meno, lo stato ha deciso che l’aborto chimico va benissimo. Il feto però agonizza due giorni nella pancia della mamma, poi con una seconda pastiglia la mamma soffrirà moltissimo per espellere dal suo corpo il feto ormai morto.
In genere la donna inconsapevolmente, salvo complicazione, vive questa esperienza a casa, forse sola. Se il feto non viene inconsapevolmente espulso nel gabinetto, dove lo dovrà buttare il piccolo corpicino del suo bambino nel secchio dell’umido? Quale trauma si porterà dietro questa persona? Che tipo di senso di colpa?
Ci indigniamo se qualcuno abbandona il proprio cane in autostrada, oppure se una coppia comprende che il proprio bambino potrebbe nascere con dei problemi e sceglie a malincuore di lasciarlo andare. Ma non ci si indigna se una persona viene abbandonata a se stessa dallo stato perché non riesce a prendersi cura della sua creatura. Di questo non se ne parla, perché l’aborto è legale. Certo deve essere legale, ma l’aborto deve essere l’ultima spiaggia, dove la neo mamma non può trovare nessun’altra soluzione.
Ma se uno stato è presente, allora l’aborto diventa solo un lontano ricordo di un’epoca cieca al dono della vita.
Mi rifaccio al vangelo, che a volte leggo per diletto. La giovane Maria è incinta di non si sa chi ( mettiamola così, per coloro che non credono nella sua verginità), un uomo di nome Giuseppe, decide con non poche remore di prendersi cura di lei, riconoscendo che quello che Maria portava in grembo come suo figlio. Anche se poveri e con non poche difficoltà questo piccolo pargolo è venuto alla luce.
Per me la metafora di questa vicenda è che Maria è portatrice di vita e speranza, Giuseppe è lo stato che lotta e difende il piccolo riconoscendolo come parte di lui. Il governo dovrebbe legiferare per difendere la vita a tutti i costi, invece legifera affinché la vita venga vista come un ostacolo, non come un arricchimento collettivo.
Quando sono andata a vedere la mostra sul corpo umano a Jesolo, c’erano anche i vari feti in vitreo.
Mi si strinse il cuore nel vedere come anche nei primi tre mesi di vita del feto le sembianze umane erano impressionanti.
L’aborto chirurgico almeno non fa soffrire il feto, anche se alle strutture sanitarie costa molto di più.
Come sempre ci vendono un prodotto come qualche cosa di innovativo, moderno all’avanguardia. Non ti dicono il rovescio della medaglia.
Abbiamo fatto talmente tanti pochi figli con questa campagna di dissuasione alla gravidanza che fra forse neanche due generazioni il popolo italiano sarà estinto, lasciando altre etnie prendere il suo posto. Una popolo senza radici è un popolo schiavo del potere.
A me sembra che ci abbiano inculcato nella mente che fare figli sia sbagliato, ci hanno fatto credere che la carriera e il proprio sviluppo personale sia più importante della vita che ti porti in grembo.
Quando rimaniamo incinte siamo già madri di quel piccolo feto e lo saremo per sempre, spetta solo a noi decidere se essere madri di un bimbo morto o di un bimbo vivo.
Di gioire nel sentirci chiamare mamma o di rimpiangere il fatto che la voce di quel bimbo non la sentiremo mai.
Riprendiamoci il nostro vero potere, che è quello di dare la vita e cerchiamo uomini veri che lottano per tutelarla, che ci proteggono perché consapevoli che ciò che abbiamo in grembo ha un valore inestimabile.
Questo è il primo diritto fondamentale, non lasciamo che le paure degli altri uccidano il nostro bambino.
Perdoniamoci se per caso abbiamo dovuto fare questa scelta estrema, diamo un nome al nostro bambino che è in cielo e ringraziamolo per aver sacrificato la sua vita per illuminare la nostra.
Con il cuore ringrazio tutte le donne che ho conosciuto che hanno vissuto questa esperienza e l’hanno condivisa con me, affinché il loro grido arrivi al cuore di tutti per risvegliare il senso della vera libertà. Quella di dare la vita non di toglierla.
Un commento su “Aborto chimico”
E’ profondamente irrispettoso e palesemente egocentrico utilizzare il nome di un paese (Fagagna) per scrivere di tutt’altro, in questo caso fare becera propaganda antiabortista. Si trattasse di un blog personale chiamato con il nome dell’autrice di questo post capirei, ma così non è. L’ostentata finta dolcezza della conclusione non riesce a nascondere il suo senso di superiorità e la mancanza di vera empatia umana. Al netto delle sensibilità individuali, siamo in uno Stato laico che DEVE tutelare le libertà di scelta e il diritto ad un’assistenza medica dignitosa per tutti i suoi cittadini e cittadine. Dice: “non giudico chi ha dovuto fare una scelta così difficile! (…)” e invece lo fa, citando le discriminazioni sul lavoro in modo assolutamente distorto e strumentale e non rispettando tutte quelle donne che un figlio non lo desiderano affatto senza che nessuno abbia loro “inculcato” un bel niente. Nessuno può dire a un altro individuo chi è, come si deve sentire e che scopo debba avere la sua vita, men che meno cosa fare col SUO corpo. A chi ha scritto questo pezzo, impari cos’è la decenza, il rispetto e la differenza tra scelte personali e libertà altrui.